- La paura ed io -
di
Cristian Borghetti
“The
Exorcist” tratto dal romanzo di William Peter Blatty: chi,
appassionato di horror, non ricorda questo titolo?
Io lo ricordo benissimo:
ogni dialogo, ogni scena.
Il cult dei cult della
filmografia dell'orrore fu per me, allora tredicenne, il più
terrificante incontro con la paura: tangibile, riconoscibile in un
volto, in una voce, rimasti impressi nella mia memoria.
Ancora oggi, dopo
“Frankenstein” di Mary Shelly, “Dracula” di Bram Stocker, i
racconti di Poe, dopo le ombre allungate delle mani ossute del Conte
Orlok in “Nosferatu il vampiro” di Murnau, la pellicola di
Friedkin riesce a spaventarmi come allora.
La prima visione cambiò
drasticamente le mie abitudini: luci accese ad ogni passaggio di
stanza in stanza, attenzione continua ad ogni rumore e movimento, ad
ogni gioco di ombre dietro i tendaggi...
Ero così spaventato che
persino il suono di un motore messo in moto sotto la finestra della
mia stanza, mi riportava alla memoria il macabro “ruggito” della
piccola Reagan posseduta dal demone Pazuzu.
Il seme della paura aveva
messo radici in me, trovando terra fertile per germogliare fino a
rendere la mia vita letteralmente invivibile.
Potevo continuare ad essere
terrorizzato da ogni cosa che, anche lontanamente, mi ricordasse il
film?
In fondo non era che una
finzione!
Decisi allora di affrontare
questa paura che stava condizionando la mia esistenza.
In una sera di gennaio, con
coraggio, spensi tutte le luci e, partendo dalla mia camera,
attraversai tutte le stanze, fino al piano terra, uscendo poi sulla
strada.
Non fu facile: avevo la
pelle d'oca – come ora, mentre lo rammento e scrivo – tremavo,
mentre con le pupille spalancate e le orecchie tese, brancolando nel
buio, rivedevo le presenze materializzate dalla suggestione: Padre
Merrin, Padre Karras, Reagan...
Ed ascoltavo le parole:
“Giornata ideale per un
esorcismo.”
“È uno solo, Damien!”
“Il demone è bugiardo,
mentirà per confonderci, ma alla menzogna unirà la verità, per
aggredirci.”
Scesi gli ultimi gradini,
aperto il portoncino, uscii nella fredda sera invernale e,
voltandomi, vidi le visioni scomparire, allontanandosi risucchiate
dall'oscurità.
Avevo affrontato la paura:
l'avevo esorcizzata!
Non solo, da allora, non
ebbi più timore del buio, delle ombre, dei suoni, ma cominciai ad
esserne sedotto, provando quell'insano piacere che tutti gli
appassionati del genere horror bramano: quel brivido, quella
sensazione atavica che ci accompagna dagli albori della storia.
La paura non fu più nemica,
ma amica, compagna.
Cominciai a scrivere con
l'intento di provare paura: ero una fucina di idee terrificanti che
più mettevo su carta, più affioravano alla mente.
Sperimentavo metodi e
strategie per terrorizzarmi e terrorizzare chi avesse voluto leggere
i miei scritti, evocando la paura.
Incontrai altre pellicole
che mi colpirono profondamente: “Il tocco del male” con Denzel
Washington o “The Others” con Nicole Kidman, in cui scoprii altri
meccanismi per fare paura.
A differenza del precedente
The Exorcist, queste pellicole mi spaventarono mettendo in scena un
terrore nascosto, senza scene e dialoghi eclatanti, inducendo in me
una paura psicologica, un effetto di inquietudine continuo e
interminabile.
Ho letto libri come “Il
giuramento” di Jean Christophe Grangè o “Il Vangelo di Satana”
di Patrick Graham, che hanno avuto su di me un potente effetto
orrorifico così come io stesso intendo:
una sensazione che,
conosciuta, non ha mai fine, che ritorna, quando...
Scrivendo, mi piace provare
paura, farmi drizzare i peli sulla pelle, affannare il respiro,
lacrimare gli occhi, tremare e , con questa carica emotiva addosso,
spaventare, terrorizzare chi legge “Ora di Vetro”, “Tre volte
all'inferno”, “La mano sinistra del diavolo”, “Gideon, il
pellicano di Londra”, “Le cabinet Masson”.
La paura è un incubo che
non conosce fine, che al risveglio, quando tutto dovrebbe essere
finito, mi assale di nuovo, ripiombandomi nelle sue oscure visioni; è
una creatura seducente e terrificante al tempo stesso, che incarna il
bene e il male nella sua natura; è ritrovarmi a parteggiare per il
personaggio più oscuro, “l'eroe nero”; è un mostro mitologico
che ha radici nella profondità dell'inconscio umano; è una statua
di cera che prende vita, evocata nel mezzo di una funzione religiosa;
un personaggio socialmente in evidenza che si interessa, senza
saperlo, del suo stesso macabro omicidio; è un tatuaggio che
condanna, una vendetta che trova soddisfazione nella caduta di un
artista tra le spire del male.
Spaventare, terrorizzare,
condurre il lettore in una storia che lo lasci senza possibilità di
fuga, senza scampo, imprigionato nelle parole, nelle pagine: questo
per me significa “Paura” ed io l'adoro!
Cosa vi attende, acquattato nel buio, nascosto dietro un tendaggio, in agguato, quando, convinti di essere al sicuro, accade che...?
stretta allo stomaco, gola chiusa, salivazione azzerata.
RispondiEliminatutti i sensi all'erta, muscoli tesi, pronti allo scatto. La paura ci conserva in vita, ci ha permesso di sopravvivere, di evolvere.
Con essa ci confrontiamo ogni istante.
La temiamo, ma ne siamo ammaliati, sedotti dal suo fascino spesso sottile, che intesse ragnatele tra conscio e inconscio, che sa parlare alla parte istintiva e primordiale dell'uomo.
Amo la paura : essa è vitale, per me
So che ci sei
RispondiEliminae tu sai che io so
Perverso gioco, il tuo.
Sfidi il mio equilibrio
con sottile maestria
Non mi piegherò a te
non lascerò che tu vinca
Altro non sei che
mia proiezione
e io ti vincerò
Paura
La paura: fascino e repulsione.
RispondiEliminaCosì, potremmo sintetizzare il concetto?
Ma perché sintetizzare?
Approfondiamo il significato di questa sensazione umana e disumana.
La paura mi affascina, lo ammetto, ma mi chiedo, a volte: mi affascina poiché è una paura "sicura"?
Intendo per "sicura", che non provoca pericolo reale, di vita.
Ma anche qui c'è molto da dire...