L'intervista di Saverio Sacco - FILIDIPAROLE
Appuntamento sul lago di
Lecco, città incastonata tra il Lario e le Alpi, dove lo scrittore che incontreremo a breve è nato e
vive.
Cristian Borghetti, classe
1970, arriva puntualissimo e sorridente.
Ci presentiamo, ordiniamo da
bere e chiedo se possiamo iniziare.
CB - Certamente, sono qui per
questo e, sinceramente, non vedo l'ora.
SS - Allora entriamo subito
nel vivo della nostra chiacchierata; Le cabinet Masson (Narcisus e-book e presto
disponibile in versione cartacea) esce a quattro anni di
distanza dalla raccolta di
racconti "Tre volte all'inferno" (Perdisa Pop 2011); da cosa nasce l'idea di
questo romanzo?
CB - Ogni scrittore ha una
musa ispiratrice, da cui scaturisce l'idea in potenza di un racconto o di un
romanzo; l'idea di Le cabinet Masson è nata da un dipinto
di Dorian Cleavenger che
campeggia su una parete di casa mia.
Il lavoro di Dorian, che
conosco da oltre un decennio, mi ha sempre affascinato, ma questo dipinto,
"After the ink", ha praticamente dettato il nocciolo del romanzo attorno al
quale si sviluppa tutta la
vicenda.
SS - Perchè la scelta di
un'ambientazione particolare come i primi anni del 900 a Parigi?
CB - Oltre al fatto che Parigi
è una delle città che mi affascinano, da sempre; dove amo passeggiare a tarda
sera, respirando l'atmosfera così unica e, magari, concedermi un bicchiere di
Assenzio in uno dei luoghi che
hanno visto nascere e crescere la poetica di autori che fanno parte di me,
Parigi fu la Belle Epoque, un'epoca "ponte", che dai secoli del passato ci ha
proiettato
verso la contemporaneità di
gusti e costumi.
L'ambientazione storica mi ha
dato, inoltre, la possibilità di calare i personaggi in un contesto reale, in
cui poter intessere la mia narrazione, creando una trama intrecciata tra storia
e finzione, che da al libro un taglio unico.
SS - Parliamo di questi
personaggi, che scandaglia sottilmente, svelando il volto celato dietro una
maschera di convenzioni.
CB - Esatto, ambientando
la narrazione in questo periodo storico, fatto di apparenza, di difesa strenua
delle convenzioni sociali, ho avuto una carta in più da poter giocare, per
svelare che non è detto e ciò che appare sia la realtà, anzi...
SS - E' interessante notare
come, in questo e nei precedenti, non esiste un "Happy end". Visione
pessimistica dell'umana condizione?
CB - Potrebbe avere altro che
un triste destino l'uomo? Spesso mi interrogo sull'effettiva possibilità di
libero arbitrio e sul destino sì, confesso, la mia visione d'insieme non è
versata all'ottimismo:
nasciamo per morire e questa è
la sola certezza.
Sono le scelte e le decisioni
che creano il nostro percorso e quello dei personaggi, ogni decisione si
riverbera sui protagonisti, altera e costruisce il corso della storia, come
accade nella vita;
un flusso costante in cui
tutto e tutti sono avvinti, parti di un disegno più grande, che chiamiamo fato o
destino.
Malgrado questo mio pessimismo
"generale", nel particolare resto una persona ottimista, che tende spesso a
cercare il "mezzo pieno" del bicchiere, a sdrammatizzare con un sorriso, cosa
che, nei miei racconti non emerge.
SS - Le figure femminili sono spesso fautrici di
tragedie
CB - Ogni mio personaggio ha
la sua valenza positiva e negativa; come nella vita non esiste il bianco e il
nero, netti e contrapposti, così, nella finzione narrativa i personaggi devono
essere a tutto tondo.
Vero, però, che ritengo la
figura femminile quasi la personificazione del destino: nasciamo grazie ad una
donna e lasciamo questo mondo accompagnati da una donna velata che tiene in
pugno una falce...
La donna è la potenza cui,
spesso, l'uomo soggiace, senza rendersene conto; la donna detta la storia, basta
pensare alle figure femminili, veri e proprie incarnazioni del fato: Elena di
Troia o Eva stessa, per fare due
esempi spiccioli.
SS - Le cabinet Masson è molto
diverso dallo stile che caratterizza "Tre Volte all'inferno".
CB - La scrittura evolve, e
Le cabinet Masson è una sorta di "Belle Epoque" della mia scrittura; volevo che
questa storia fosse alla portata di tutti, uscendo dai generis e cambiando passo
rispetto al passato.
Qui la scrittura è spogliata
dai "barocchismi" e dalla voluta oscurità stilistica che caratterizza altre mie
opere, essa è scarna, veloce, pungente senza nascondersi nella forma.
SS - Quanto ha influito il
fatto di calare il romanzo in un contesto storico ben preciso?
CB - Molto, per un opera che
si svolge in un era precisa occorre molto studio. Bisogna entrare nel contesto
storico stesso, studiare oltre alla storia classica e nozionistica degli
avvenimenti, anche usi, costumi, vizi e virtù, modi di vivere, di pensare, di
parlare, persino di mangiare.
Nulla deve essere lasciato al
caso, perchè solo così si può creare un romanzo che sia realtà e finzione ad un
tempo.
SS - Si vede passione in
questo. Ci parli di Cristian uomo e Cristian scrittore?
CB - In ogni minuto in cui
scrivo vivo, in ogni minuto in cui vivo scrivo. L'uomo e lo scrittore sono
inscindibili.
Scrivere è da sempre il mio
sogno: scrivere storie che altri leggeranno, trasmettere l'emozioni che io sento
al lettore, mostrargli i miei personaggi, farlo entrare nel racconto ed
accompagnarlo, pagina dopo pagina, sorprenderlo, stupirlo, terrorizzarlo o
divertirlo, questo è il mio sogno!
SS - Cosa significa essere uno
scrittore, oggi?
CB - Significa avere una
capacità, un dono e metterlo al servizio di chi legge: non ci sarebbero
scrittori senza lettori, nè lettori senza scrittori.
Occorre prima di tutto essere
un lettore, l'amore per la lettura è la base di tutto.
Non tutti i lettori sono
scrittori, però.
Per essere scrittore occorre
il talento di inventare storie e la capacità di scriverle.
Uno è un dono che va
custodito, l'altro un allenamento costante, senza mai scoraggiarsi.
SS - un consiglio a chi
vorrebbe cimentarsi con questa sfida?
CB - Mi sento solo di dire: credeteci e leggete, leggete
e credeteci.
La nostra testa è colma di
storie fantastiche, la parola attende solo di prenderle con sé e svilupparle su
un foglio bianco.
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